Tweet


SOCIALDEMOCRAZIA
Movimento politico nato in Europa alla fine del XIX secolo. Originariamente il termine indicava le organizzazioni operaie (socialiste democratiche) di ispirazione marxista in contrapposizione a quelle che si rifacevano all'anarchismo; in seguito venne usato per distinguere il socialismo gradualistico e riformista da quello rivoluzionario dei partiti comunisti. Il termine ebbe origine nel 1875 quando, al congresso di Gotha, venne fondato il Partito socialista democratico tedesco (Spd), l'organizzazione marxista che fornì alla socialdemocrazia europea, oltre al nome, il principale modello ideologico e organizzativo.

IL PRIMO PARTITO DI MASSA. La socialdemocrazia tedesca divenne in breve tempo un grande partito di massa e, nonostante le leggi antisocialiste che la constrinsero a un periodo di semiclandestinità (1878-1890), alla fine del XIX secolo era la più forte organizzazione politica del paese con 1.400.000 voti e quasi 400.000 iscritti. Sull'esempio tedesco, negli ultimi anni dell'Ottocento sorsero partiti socialdemocratici nei paesi scandinavi (1878-1889), in Austria (1888), nei Paesi bassi (1894), in Russia (1898) e, nella variante laburista, in Gran Bretagna (1906), mentre nell'Europa mediterranea nascevano partiti socialisti che, sostanzialmente, si ispiravano anch'essi alla socialdemocrazia. In quel periodo, in polemica con l'anarchismo, la socialdemocrazia si autodefinì come la principale traduzione politica delle idee e delle analisi di Marx: secondo tale impostazione le lotte dei lavoratori non dovevano limitarsi all'ambito sociale, ma assumere caratteristiche politiche. Era inoltre interesse della classe operaia intervenire a livello istituzionale dotandosi di proprie rappresentanze all'interno dei parlamenti nazionali. Rappresentanti significativi di questa posizione furono, tra gli altri, K. Kautsky, A. Bebel, F. Lassalle e lo stesso compagno e amico di Marx, Friedrich Engels. La socialdemocrazia si definì così come quella corrente politica che intendeva portare le rivendicazioni dei lavoratori nell'ambito delle istituzioni statali, avvalendosi di tutte le possibilità e gli strumenti che queste offrivano e battendosi per ampliarle. Fino alla rivoluzione d'ottobre 1917 la socialdemocrazia rimase il principale punto di riferimento per le correnti del movimento operaio di ispirazione marxista, al di là delle profonde divisioni al suo interno tra rivoluzionari e riformisti. Quest'unità era resa possibile dalla sostanziale duplicità del movimento, che da un lato partecipava alla lotta politica alla stregua dei partiti borghesi e, dall'altro, continuava a considerare la rivoluzione e l'abbattimento delle istituzioni borghesi il proprio fine ultimo. Il confronto tra le posizioni di diversi partiti e correnti avvenne principalmente nella seconda Internazionale (fondata nel 1889) che, richiamandosi alla natura internazionale delle lotte dei lavoratori, si proponeva il coordinamento e la direzione dei diversi partiti nazionali a ispirazione socialista. Negli anni che precedettero lo scoppio della Prima guerra mondiale la socialdemocrazia allargò la propria influenza e ottenne significative concessioni politiche nei paesi dove era più forte e organizzata.

DIFFERENZIAZIONI E SCISSIONI. Contemporaneamente crescevano i dissidi e le differenziazioni tra le diverse componenti. Tre furono le componenti in cui il movimento andò progressivamente dividendosi: una "destra revisionista", capeggiata da E. Bernstein, favorevole alla collaborazione con i partiti borghesi; un "centro ortodosso", il cui principale esponente era K. Kautsky che perseguiva una politica di continuità con i princìpi originari; una "sinistra rivoluzionaria", in cui stavano emergendo le figure di Lenin e Rosa Luxemburg e che affermava l'inevitabilità di una rottura politica violenta per l'impossibilità di riformare le istituzioni borghesi. Lo scoppio della Prima guerra mondiale, con la decisione delle maggioranze interne dei maggiori partiti socialdemocratici europei (tranne il Psi) d'appoggiare i rispettivi governi, provocò la rottura definitiva tra le diverse anime della socialdemocrazia: l'ala sinistra si staccò dal corpo originario dando vita, dopo la rivoluzione d'ottobre 1917, ai partiti comunisti e alla terza Internazionale.

LA CRISI POSTBELLICA. Dopo la Prima guerra mondiale la socialdemocrazia, impotente e già divisa, nonostante le enunciazioni pacifiste e internazionaliste, di fronte allo scoppio del conflitto e indebolita dalla nascita dei partiti comunisti (da cui era fatta oggetto di una pesante polemica), si trovava anche a fare i conti con la crisi del liberalismo che determinava uno spostamento a destra di ampi settori della borghesia europea e la nascita di regimi fascisti e reazionari. Soltanto nei paesi scandinavi essa riuscì a mantenere la propria influenza politica, diventando forza di governo: una scelta nettamente riformista permise ai partiti socialdemocratici di Svezia, Norvegia e Danimarca di dar vita a regimi sociali che, nei decenni successivi (fino agli anni settanta), furono considerati il più efficiente modello di "socialismo democratico". Nel resto dell'Europa la socialdemocrazia, "schiacciata" tra fascismo e comunismo, negli anni venti e trenta ridusse sensibilmente la propria influenza sul movimento operaio e la propria forza elettorale. In alcuni paesi europei (Germania, Italia, Ungheria, Spagna) regimi di destra misero fuorilegge i partiti socialdemocratici e ne perseguirono dirigenti e militanti costringendoli all'esilio, alla clandestinità o, come in Germania, deportandoli nei lager.

LA SCELTA RIFORMISTA. Dopo la Seconda guerra mondiale i partiti socialdemocratici si avviarono con decisione verso una prassi di tipo riformistico, abbandonando definitivamente (anche nel linguaggio) le aspettative rivoluzionarie presenti nelle proprie radici. In netto contrasto con il comunismo d'impronta stalinista, la libertà e la democrazia divennero allora i valori prioritari della socialdemocrazia, mentre l'egualitarismo sociale venne messo in secondo piano. Mentre nei paesi scandinavi i partiti socialdemocratici dirigevano per lunghi anni i governi di quei paesi (in particolare in Svezia dove rimasero continuativamente al potere per quasi mezzo secolo, fino al 1976), la socialdemocrazia tedesca compiva una profonda trasformazione interna che culminava nel congresso di Bad Godesberg (1959) in cui l'etica cristiana e l'umanesimo venivano indicati come le nuove radici ideologiche del partito che escludeva la lotta di classe come metodo d'azione per l'avanzamento delle classi lavoratrici. Dopo questa revisione ideologica e programmatica, negli anni sessanta e settanta la Spd diventava forza di governo. Lo svedese Olof Palme e il tedesco Willy Brandt furono in quegli anni le principali figure di dirigenti socialdemocratici e assunsero anche un ruolo importante nella ricostituita Internazionale socialista che raccolse tutti i partiti socialisti e socialdemocratici su un programma che intendeva assicurare, attraverso le politiche sociali del welfare state, l'equilibrio tra le necessità del libero mercato e i bisogni delle fasce più povere della popolazione. Nel frattempo però una concezione "socialdemocratica" del ruolo dello stato e della stessa lotta politica aveva finito per influenzare tutti i partiti dei paesi a democrazia parlamentare (consenso socialdemocratico) spuntando buona parte delle armi polemiche dei partiti socialdemocratici e lasciandoli poi spiazzati davanti alla violenta controffensiva liberista degli anni ottanta in Gran Bretagna, Stati Uniti, Svezia, Germania e nella stessa Italia, in cui ne fu portatore proprio il Psi. Negli anni novanta la socialdemocrazia tornò al potere in tutti i paesi europei e negli Stati Uniti, sull'onda di una grave crisi economica che rischiava di mettere in pericolo il welfare state delle diverse nazioni. Si trattava comunque di una socialdemocrazia che aveva al suo interno diverse componenti neoliberali e neoliberiste.

G. Polo
Stats